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Il Fintocolto e i racconti degli anziani

Di fronte alle storie degli anziani il Fintocolto si trova in seria difficoltà. Innanzitutto perché sono sempre troppo lunghe e troppo vissute, quasi fossero vere davvero e dunque più davvero vere della sua vita di passeggio erotico per le vie del centro con sacchetto Feltrinelli.

Secondariamente perché narrano di tempi in cui si era soliti prendere decisioni, usanza della quale non esistono più testimonianze già dalla comparsa delle prime Dr Martens e si rileva una definitiva scomparsa con l’avvento degli schermi a 4916 colori nei telefoni cellulari.

Terzo: tolgono sempre qualche istante di troppo alla sua intellettuale nullafacenza, alias creazione morbida o cuscìnea. Però salviamolo ogni tanto, questo fintocolto: per i primi otto minuti e quarantasei secondi è seriamente interessato al racconto. Sono d’altronde mondi che non conosce (che vanno a sommarsi a tutti gli altri, che comunque non conosce, compreso quello in cui vive) e quindi potenziali argomenti di future conversazioni, invenzioni, capolavori d’amplificazione dell’Universo.

La vera bellezza però sta, come spesso succede, negli occhi. In quelli dell’anziano che ormai da quaranta minuti sta usandolo da registratore e non accenna a smettere: il fintocolto sente, sente davvero di essere il depositario di un ricordo infinito. Questo lo renderebbe sinceramente gioioso, se solo non fosse troppo impegnato a capire come fare per guardare l’ora dallo smartphone senza dare un dispiacere al rugoso ma profondo, dolce amico.