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Il Fintocolto, Nibali, il ciclismo e i ciclisti

Chi nel recente periodo ha imparato a conoscere il Fintocolto, potrà già immaginare la sua reazione di fronte alla vittoria di Vincenzo Nibali al Tour de France. Nel giro una dozzina di millesimi di secondo: iniziale sensazione di spaesamento seguita immediatamente da volatile e gioioso orgoglio italiano, a propria volta offuscato da successiva sinuosa e inconfessabile immissione di invidia per quel tizio neanche troppo muscoloso così convinto, convincente, vincente, determinato, realizzato. Nei centosei secondi successivi: approfondito studio della storia del ciclismo attraverso il web, breve ripasso della vicenda Coppi-Bartali, istantaneo senso di nostalgia per Pantani, convinzione indistruttibile di aver trovato lo sport della propria vita. Passaggio su Ebay per capire i costi di una bicicletta professionale, acquisto preventivo di attrezzatura varia. Rinuncia successiva e lunga riflessione circa l’utilizzo di casco e borraccia acquistati poco prima. Nessuna risposta. Nuove domande circa l’origine del mondo.

Immediatamente dopo, nuova leggera immissione di orgoglio italiano leggendo i relativi commenti su Facebook, seguita da compassione per la loro banalità, terza immissione di orgoglio italiano misto a auto-compassione per la propria banalità. Odio per gli ideatori di quei commenti banali.
Spritz.
Che poi fino a questo momento l’unica cosa che ha legato il Fintocolto al Ciclismo sono stati gli spigolosi accidenti inviati a quei maledetti ciclisti domenicali – rabbiosamente apostrofati come accompagnati a una moglie non troppo fedele – che non hanno mai imparato a pedalare in una semplice, elementare fila indiana.
Il fatto che il Fintocolto usi l’automobile anche per andare dal salotto al bagno e non abbia ancora imparato a utilizzare le rotonde dopo anni di patente, in quei casi risulta sempre del tutto secondario.