FintoCult #1: “Interstellar” e la rivoluzione della pacatezza.
“Interstellar” non è un capolavoro.
Non è una questione di correttezza scientifica: dubito che, durante la lavorazione del film, qualcuno si sia mai anche solo lontanamente posto il problema della completa veridicità scientifica. Non è mica un documentario.
I difetti che non gli permettono il titolo di capolavoro sono pochi ma essenziali: ha incoerenze evidenti di sceneggiatura, da un punto di vista di mera credibilità e solidità narrativa. I dialoghi sono tendenzialmente banali, dannatamente e pomposamente banali.
Non ho notato queste valanghe di novità avanguardistiche: non i temi, non il punto di vista da cui sono affrontati, non le pur emozionanti trovate risolutive, non l’ingegneria della riflessione e dell’attenzione in cui Nolan continua a essere un ottimo maestro ma che ha già molto meglio rappresentato altrove.
“Interstellar” è un gran bel film.
Mi piacerebbe un sacco averlo pensato.
Mi piacerebbe un sacco se la media qualitativa dei film nella grande distribuzione fosse questa.
Però non è un capolavoro.
Riusciamo, tra le categorie “ciofeca” e “capolavoro immancabile” a piazzarsi in una dimensione realistica e non da tifo?
Una sorta di rivoluzione della pacatezza. La facciamo?